martedì 17 novembre 2015

Interviste eccellenti: il Made in Abruzzo di Filippo Flocco...

Vi ricordate Le mie eccellenze? 
All'indomani dell'ennesimo successo di un conterraneo come Filippo, sono lieta di riproporre la sua intervista davvero coinvolgente.

Made in Abruzzo: 
Filippo Flocco docet 
Sabato 12 Ottobre 2013- 11:08 Federica Ferretti 

Parte una nuova iniziativa: occuparci anche di moda, di un linguaggio che ci accomuna quotidianamente, unendoci, al di là di impenetrabili barriere. In una mini-inchiesta che, come capirete, ci riguarderà davvero da vicino. Infatti noterete come in questo ciclo di interventi di stilisti, disegnatori di successi come di sogni a vario titolo, il filo rosso seguito sarà stato il Made in Abruzzo, ovvero l’appartenenza al nostro territorio orgogliosamente sbandierata. È la volta del teramano Filippo Flocco, che collabora con i migliori Atelier del centro Italia e, da oltre quindici anni, è consulente stilistico di aziende che portano il loro prodotto in tutto il mondo. Si descrive come “il silenzioso, discreto consulente d'immagine e di stile di tanti personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport, della politica e dell'imprenditoria".
Federica Ferretti: Uno stilista del tuo calibro, perfezionatosi in Bocconi, che decide di restare in Abruzzo. Cosa ti lega al tuo territorio?  
Filippo Flocco: Gli affetti, la famiglia, il modo di vivere, poter raggiungere a piedi il posto di lavoro, a differenza di Parigi dove lavoro da diversi anni, facendo l'emigrante del lusso, che mi obbliga al Metrò. Non mi spaventa una realizzazione di Alta Moda, che richieda giorni e giorni per essere perfetta, un titolare di una Maison per cui faccio il responsabile stile che mi spinga nel freddo delle campagne francesi , in pieno inverno, ad osservare per settimane consecutive giardini e pagliai del XVI secolo, senza dirmene la ragione o una cliente particolarmente difficile. E’ il mio mestiere e sapevo, anni fa, che avrei dovuto sopportare rinunce o comportarmi in maniera molto rigorosa, se questo era quello che desideravo fare… Chi fa la Moda, a livelli internazionali, sa che non esistono ferie, festività o affetti, che riescano a tenertene lontano… E’ la moda stessa la tua vacanza, il tuo Natale, il tuo grande amore. Si deve essere pronti e predisposti a tutto questo. Ho il piacere di lavorare con dei miti dello Stile mondiale, che sono esempio di dedizione assoluta e che non finirò mai di ammirare per la modestia e semplicità dell’approccio a questo lavoro, che sono stati in grado di trasfondermi. Ma per favore non tenetemi troppo lontano da quella che mi piace considerare la mia vera casa, l'Abruzzo. 
F.F.Viceversa, cosa cambieresti del tuo territorio, se potessi intervenire con la tua sapienza “sartoriale”? 
Filippo Flocco: Assolutamente nulla, il territorio è perfetto sono alcuni di quelli che lo amministrano che andrebbero cambiati, casomai. Servono persone preparate, capaci di capire che il futuro della moda italiana è di innovarsi ed aprirsi a mercati inusuali, mai dimenticando che le nostre eccellenze, i nostri materiali , sono la nostra storia passata, presente ma soprattutto futura… Stradivari non avrebbe fatto gli stessi violini in altri luoghi del Mondo, come Michelangelo difficilmente ci avrebbe dato un’eredità così irriproducibile, senza i marmi di Carrara o la frequentazione delle botteghe artigiane italiane, oltre alla sua indiscussa genialità… F.F.Il primo abito che hai confezionato… 
Filippo Flocco: La moda come mestiere mi appartiene da sempre, è stata con me dai primi respiri, dalla mia primissima infanzia. Mi raccontano che piccolissimo, ritagliavo e cercavo di cucire assieme lembi di stoffe ricavate da vecchie tovaglie ed abbozzavo anche degli istintivi tentativi di ricamo, uno per tutti, il musetto di un gattino, fatto senza nessuna cognizione, come credevo si potesse fare… La predisposizione alla moda, come a tutte le manualità in genere, disegno o altro, sono connaturare, come il senso estetico, la musicalità o l’attitudine ai calcoli matematici… 
F.F.Quello che ancora riesci a realizzare. 
Filippo Flocco: Lavoro per tanti brands e maison che mi riesce difficoltoso immaginare qualcosa di irrealizzato. Ho avuto l'opportunità da ragazzo, di toccare anche abiti storici, dei miti dell'eleganza internazionale, nelle sartorie dei sogni,di Roma, dove facevo pratica. Ho visto un po' di tutto, fatto altrettanto. 
F.F.La moda si sposa inevitabilmente con le esigenze del mercato: useresti mai vintage nelle tue collezioni? 
Filippo Flocco: La moda che faccio essendo Haute Couture, non si lega alle esigenze del mercato. Preferisco il concetto di stile, è più durevole. Il vintage, come spunto, sì certamente. Sempre da tenere come riferimento. Ma reinterpretato, facendo in modo che una parte di noi restituisca qualcosa che esisteva già , ma in maniera completamente rinnovata, trasfigurando e arricchendo la realtà, che poi è di per se, uno dei privilegi che sono riservati ai creativi. F.F. Un percorso di successo, un atelier attivo: quanto è difficile resistere non tanto in Abruzzo quanto nel resto d’Italia? Filippo Flocco: Abbastanza, ma dipende molto dalle proprie aspettative. L’opportunità che mi viene data di non legare mai il mio nome ad un marchio e saper uscire di scena prima che l’applauso finisca, come per i bravi teatranti, fa in modo che il rapporto tra il positivo ed il negativo sia sempre equilibrato. Non lavorando solo per denaro, ma anche per il piacere del lavoro stesso, non mi sono mai preoccupato se le percentuali delle produzioni seguite, fossero salite o scese rispetto all’anno precedente… Non mi occupo di questo… Se continuo a ricevere tante richieste, nonostante non sia un carattere facilissimo ,sul lavoro, evidentemente tutto procede per il meglio, con buona pace di chi mi chiama , di chi lavora per me o con me… 
F.F. Le qualità di un bravo disegnatore, sono anche quelle di un bravo realizzatore? 
Filippo Flocco: Non obbligatoriamente. Ci sono creativi che disegnano benissimo, ma non sanno nemmeno tagliare un orlo. Ci sono sarti che non sanno fare un segno con la matita. Personalmente , prima che divenisse una esigenza, ho imparato a tagliare e cucire, per sapere cosa è realmente realizzabile e cosa no. Ma grazie al cielo ho delle formidabili assistenti e sarte che fanno questo al mio posto, per cui mi posso permettere di dedicarmi di più al disegno, alla scelta delle materie prime ed alle strategie di posizionamento prodotto o ai mercati internazionali a cui rivolgersi, se richiesto. 
F.F. L’ecosostenibilità dei tuoi capi… 
Filippo Flocco: La fortuna di lavorare per L'Alta Gamma, fa in modo che la scelta dei materiali e la produzione sia a bassissimo impatto ambientale. Uso solo materie prime naturali, evitando quelli che richiedono sistemi barbari per procurarsele.
F.F.Quanto ti senti arrivato? 
Filippo Flocco: Mai, per fortuna mai... Sempre con i piedi piantati bene a terra. Questo è un settore dove, per quante ricerche, per quanti studi di segmenti di mercato a cui ci si rivolge, per quante analisi dei dati storici di vendita si possano fare, ci sono varianti imprevedibili, nel risultato… Potrebbe capitare di perdere per un attimo,quel sesto senso che ci fa azzardare, contro il parere di tutti, un modello o un colore, che poi si rivela il best seller della stagione… Potrei considerare, anche io l’opportunità di una consulenza stilistica non efficace per una stagione… E’ accaduto ai migliori e gli errori aiutano molto più dei successi, alle volte. F.F. Consigli a chi vuole intraprendere, in Abruzzo, la tua medesima attività: quanto è in salita, ancora, la strada? 
Filippo Flocco: Quando i ragazzi e le ragazze che vogliono accostarsi al mio lavoro mi chiedono consigli, cerco sempre di ricordare quando ho iniziato , scruto i loro occhi , le mani , i segni del viso e cerco di capire quanto saranno in grado di sopportare il fatto che nessuno gli farà un ‘applauso al loro ingresso in un ufficio stile o in un atelier, ma che li vedranno come nemici, che nessuno amerà le loro idee, inizialmente, che spesso troveranno porte chiuse e responsabili del marchio , più grandi di loro , che non saranno teneri nei loro confronti. Provo a capire se saranno capaci di sorridere quando le lacrime tenteranno di uscire e se manterranno il controllo interiore , quando sembrerà che tutto il loro mondo vada a rotoli, cercando di trasmettere a chi gli sta accanto un senso di pace e benessere che è la vera soluzione dei grandi momenti di crisi che possono verificarsi durante una realizzazione collezione o un defilé… Ma soprattutto quanto amore hanno da donare agli altri attraverso le loro creazioni e quanto vogliono rendere più bello il loro Mondo, con il mestiere più unico, che gli sarà mai dato di fare… 
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giovedì 5 novembre 2015

Ciao all'eccellente Antonello de Sanctis, il paroliere di Anima mia...


Ancora un tuffo al cuore, una grande testimonianza da parte di un personaggio ormai cult nel panorama culturale italiano, che è stato molto più che vicino al nostro Abruzzo. e che si è raccontato con l'umiltà di cui era portatore, nell' Intervista esclusiva qui di seguito riportata. Lui, era il paroliere Antonello De Sanctis, un grande troppo prematuramente scomparso,lasciando anche nel mio piccolo cuore un immenso vuoto...una di quelle persone che, però, si fermavano a parlare con tutti, anche con me, che, ai tempi ero una tirocinante...non lo ringrazierò mai abbastanza.
Mai.
Ciao Antonello, ora, canterai con gli angeli...
 
Lunedì 21 Ottobre 2013 - 14:45 Federica Ferretti 

L’autore dell’indimenticabile Anima Mia, da sempre innamorato del Gran Sasso, si racconta a 360° in esclusiva per ilcorrieredabruzzo.it, auspicando l’immediata ricostruzione…
Come preannunciato, la Rubrica Le Eccellenze vuole rappresentare un progetto ambizioso: raccontare la realtà circostante con occhi ad ogni volta nuovi, aperti ad ogni volta ad indagare su un punto di osservazione diverso; una prospettiva che avrà la volontà di spostare l’angolazione, la nostra così come la vostra, per cogliere un altro spunto di vita, e di pensiero.
Cogliere un’idea, costruire un’ immagine che può essere diversa rispetto a quanto già detto, sentito, esaminato.
Questo il sapore delle nostre mini-inchieste: quello della scoperta di un filo rosso più o meno consistente, palpabile, di cui forse, non ci eravamo accorti. O che avevamo seguito solo a metà.
Alterniamo quindi le voci femminili a quelle maschili, che si sono parimenti distinte nel panorama tanto abruzzese quanto italiano.
Iniziamo con un autore legato per tanti versi alla nostra regione, il “paroliere” che ha interpretato le emozioni di un gruppo autoctono quale I Cugini di campagna, regalandoci negli anni ’70, la famosa canzone “ Anima Mia”recentemente riportata in auge da Fazio. Lui è Antonello De Sanctis, che ci lascia un esclusivo prezioso omaggio.


F.F. Nato durante la seconda guerra Mondiale, hai un back – ground anche in tema di canto “velatamente” politico: ci viene in mente Padre Davvero di Mimì, del 1971. Cosa puoi dirci a questo riguardo?
Non conosco la guerra per esperienza diretta, ne ho pagato le conseguenze però. La miseria, lo spartirsi il pane, il bello della gente che si dava da fare per ricostruirsi una vita. Il brutto no, quello l’ho dimenticato.
Padre davvero affrontava il tema della famiglia patriarcale e contestava la figura del padre-padrone. Fu politica? Non lo so. Certamente fu una bandiera per i giovani di allora o forse era soltanto una bella canzone impreziosita dall’interpretazione di un’artista straordinaria.

F.F. Come ha influenzato la tua attività, o meglio la tua sensibilità di autore l’esperienza dapprima in un carcere minorile e poi in un istituto per disabili psichici?
Mi ha certamente insegnato molto e mi sarebbe piaciuto trasferirla nelle mie canzoni. L’industria discografica di allora, però, mostrava un interesse pari allo zero per queste tematiche perché erano ritenute poco lucrative e così non se ne è fatto niente. Regalare a Francesco de Gregori la lettera che mi aveva scritto uno dei ragazzi dal carcere, però, e vederlo commuoversi nel leggerla, mi riempì il cuore. Fu un passare idealmente il testimone a un grande artista che ha trattato tematiche sociali e politiche molto meglio di come avrei fatto io.

F.F. Hai avuto un “fermo creativo” negli anni ’80. 
Più che di fermo, parlerei di una mia scelta esistenziale. Ho lasciato per dieci anni l’ambiente della musica e mi sono dedicato alle esperienze di cui parlavamo sopra perché avevo voglia di fare qualcosa di utile. Scrivere canzoni è un mestiere fagocitante ed io desideravo riprendermi il mio tempo. A parte le esperienze con gli “emarginati”, mi sono creato una famiglia ed è questa la canzone più  bella che ho scritto. Ho ripreso nei primi ’90 con Mietta per poi iniziare con Nek una proficua collaborazione che ha portato le nostre canzoni i giro per il mondo.

F.F. La canzone “In Te” di Nek tocca un tema molto delicato, l’aborto. Impressioni a posteriori di un grande successo.
In te, come Padre davvero, ha scatenato un mucchio di polemiche. Non era un brano antiabortista, era solo la trasposizione una mia personale esperienza che racconto in “Non ho mai scritto per Celentano”. Anche in questo caso non volevo fare politica, ma la politica si appropriò delle mie parole e le criticò duramente con i suoi bla-bla-bla. Quello che mi fa ancora sorridere è che i giornali legati a correnti più conservatrici la adoravano, mentre i più progressisti la criticavano. L’esatto contrario di quello che era accaduto con Padre davvero. Bastava che s’informassero un po’, ero sempre io a scrivere.

F.F. Veniamo al tuo legame con i Cugini di Campagna, la cui “Anima mia”, ha potuto rivivere anche grazie all’interessamento di Fazio negli ultimi anni: come e perché nasce questo sodalizio?
Stavo iniziando allora a scrivere canzoni e Ivano Michetti, il leader dei Cugini, mi contattò. Venne una sera a cena, insieme a Flavio Paulin, nel ristorante che dirigevo e mi scippò letteralmente il testo di un brano che, pensa, era destinato a Little Tony. Rielaborarono insieme la musica e nacque Anima mia. Mi chiamarono e mi chiesero: “Che te ne pare?” “O è una stupidata o è geniale” risposi. Era geniale.

F.F. Sei legato al nostro Abruzzo?
Io sono nato a Rieti, in Sabina, luogo geograficamente vicino all’Abruzzo che ne ricorda gli umori, i sapori, le vibrazioni. Adoro questi posti, la schiettezza, la cordialità, il coraggio della loro gente che ha mantenuto la forza rude e la gentilezza della terra.

F.F. Perché non hai mai scritto per Celentano?
Semplicemente perché non mi è mai capitato e il mio libro l’ho voluto intitolare così perché Celentano è un cognome eufonico, che mi diverte. Niente di più. Senza nulla togliere a un artista che ha fatto la storia della musica italiana e non solo.

F.F.L’Antonello De Sanctis, scrittore di romanzi.
Sono finalmente affrancato dai limiti della metrica, delle parole tronche, delle sintesi forzate. Chi scrive romanzi è libero, chi scrive testi è un cavallo brado chiuso in un recinto. 

F.F.Ora, una domanda molto intrigante: un paroliere può trasformarsi in un romanziere o conserva sempre intatta la musicalità delle sue rime?
Ogni canzone ha insite le giuste parole nelle sue note, nei miei libri cerco sempre di fare l’esatto contrario e di far sì che le parole abbiano dentro la loro musica. 

F.F. Dedicheresti in esclusiva ai lettori de ilcorrieredabruzzo.it un tuo brano?
Non scrivo più canzoni ma sull’Abruzzo è già stata scritta una grande canzone che mi fa vibrare e che cantai una sera d’inverno davanti a un camino acceso con degli amici del luogo 

So' sajitu aju Gran Sassu,
so' remastu ammutulitu...
me parea che passu passu
se sajesse a j'infinitu!

Che poesia!
E da lassù, vicino al vostro cielo quasi a poterlo toccare, vorrei rivedere intatti i vostri monumenti martoriati, vorrei che la gente tornasse nelle sue case, vorrei vedere i bambini sorridere e vorrei che i cuori di tutta la gente del mondo battessero all’unisono con il cuore dilaniato della vostra terra.
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domenica 25 ottobre 2015

Se la musica redime gli umili: la scelta di Pasolini.



Come ricorderete, la nostra scrittrice e giornalista Federica Ferretti, ripropone da qualche tempo i suoi articoli più interessanti, inizialmente pubblicati altrove(http://www.ilcorrieredabruzzo.it/cultura/19462-se-la-musica-redime-gli-umili-la-qtrasgressione-culturaleq-di-pasolini.html), tra cui quello che riguarda la particolare attenzione di Pasolini per la musica in quanto linguaggio.
Che diventa un mezzo, l'unico di redenzione degli umili.
Ricordando il quarantennale della sua morte, avvenuta il 2 novembre 1975.



Raccontare dell'inscindibilità tra la musica e le immagini nella cinematografia del Novecento ci porta a ad esaminare i fondamenti di una speciale sensibilità democratica, dove il linguaggio musicale veicola valori ed emozioni, stati d'animo, esigenze della propria società, seppure nelle sue mille contraddizioni.
Infatti, parlare della musica in termini sociopolitici significa per Pasolini, noto regista italiano tragicamente scomparso, tracciare un punto di partenza, non di arrivo, tale per cui Bach diventa un vero e proprio strumento di redenzione dei "Suoi" umili, quelli che, in questa vita, sono comunque perdenti.
Perciò non è vero che il cosiddetto commento,introdotto cioè a livello extra-diegetico, ossia esterno alla "narrazione" e perciò percepibile dal solo spettatore, sia usato dal nostro regista in una maniera a fin troppo ingenua, così "scoperta e disarmante".
Occorre invece rileggere daccapo la poetica di un uomo che ha dimostrato l'asessualità dell'arte come pochi altri hanno saputo.
Nel suo Accattone, emarginazione e povertà vengono letteralmente suturate grazie ad una concezione salvifica di uno dei brani più rappresentativi dell'epoca barocca.
Pasolini, vissuto nel pieno della svolta economica italiana, avverte l'esigenza di cambiamento anche da parte degli "sbandati", coloro che stanno in fondo, e che non possono per alcun caso, neppure fortuito, risalire la china, dai condannati a priori al degrado.
Di qui, la "trasgressione culturale" che non gli è stata mai del tutto perdonata: involgarire Bach, chiamato a sublimare una rissa tra borgatari romani, nello squallore di una giornata che sarebbe dovuta invece scorrere nella stessa miseria delle precedenti, così come delle seguenti.
Il proletariato veniva in qualche modo "sacralizzato", la contaminazione tra la vista e l'udito, avrebbe cioè potuto restituire loro quel sapore epico che in diverse condizioni, ci sarebbe ancora per una volta sfuggito. I contenuti tradizionalmente conferiti alla musica barocca per eccellenza, andavano a permeare immagini di brutalità quotidiana, a cui, almeno per una volta, veniva restituita la dignità.
Ed un uomo, è tale fino a quando ne possiede una.
Non si può condannare perciò un regista, perché ha cercato di salvare un Accattone.
Ma erano tempi duri... eppure, Pasolini, continua a combatte contro pregiudizi che lo hanno condannato da sempre, senza possibilità di affrancarsi dalla sua, personalissima, condizione.

Federica Ferretti

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lunedì 21 settembre 2015

La segnalazione di Eta Beta...


Una grande soddisfazione: la segnalazione da parte di M.Cerofolini di una delle mie sfide più importanti...
F.F.



Cos'è e come funziona la #musica pubblicitariaLa sfida del linguaggio musicale nel canale pubblicitario: lezioni...
Posted by Eta Beta - Radio1 Rai on Domenica 20 settembre 2015

lunedì 27 aprile 2015

Io vi racconto...

Cari inseguitori, conoscenti, semplici naviganti virtuali, 
come avete appreso, da qualche tempo, sono diventata una collaboratrice di Confidenze tra Amiche.
Ecco alcuni dei pezzi che hanno così tanto scosso le coscienze, fornendo al tempo stessa una speranza che nulla è per sempre. 
Che è invece sempre possibile riprendere in mano la propria vita.




Se avete una storia che valga la pena essere raccolta, di cui vi sono rimasti ricordi indelebili, se volete rimettervi in discussione... 
O se volete solo parlarne, contattatemi a: ilcantodelcignorosso@gmail.com.
Vi risponderò in ogni caso.
Per crescere insieme...F.F.

domenica 1 marzo 2015

Caro Lucio, non ti dimentico



 

Caro amico, ti scrivo

Giovedì 01 Marzo 2012 - 14:30 Federica Ferretti

Caro Lucio, come stai?
Sì, ora che sei diventato finalmente l'angelo che volevi, ora che avrai tutto il coraggio che desideravi e che hai finalmente imparato a volare, zingaro libero, e allora potrai girare  tutto il mondo, ma lo so già che farai, andrai in Afganistan e più giù in Sudafrica e anche a a parlare con l'America, sicuro che ora, così invisibile, non ti abbattono, in modo che potrai parlare anche con i russi, proprio come volevi te.
Sono così emozionata nello scriverti quest'ultima lettera, che però, se ci si crede, sarà solo la prima di tante altre, perché in fondo, non sei andato via davvero, avrai solo la forma di una nuvola ai nostri miseri occhi, così appiccicati alla terra.
Volevo chiederti scusa se io, insieme a tutti i tuoi fan, piangiamo, ma non se ne può fare proprio a meno, ogni distacco, all'inizio, è duro.
Ci potremmo consolare solo pensando che, se faccessimo silenzio, ti potremmo sentire sfrecciare insieme al tuo amico Ayrton, perchè Dio, che aveva evidentemente troppo bisogno di un altro meravigliso angelo per circondarsi di luce ed irradiare anche noi...beh, Dio, forse egoista, senza pensare che le tue canzoni hanno attraversato 40 anni di storia italiana, e noi ne avremmo avuto bisogno per altri 40 anni almeno, ti ha detto:"Chiudi gli occhi e riposa" e tu hai chiuso i tuoi occhi di stelle, che non vedremo più.
Che stolti che siamo, non ci rammentiamo che la terra finisce e là comincia il cielo, e lo guardermo e anche stasera ci farà pensare a te...
Perchè il cielo vicino e lontano vediamo  sempre il cielo, si puo' volare oltre le nuvole ma sempre in alto tu vedrai il cielo il cielo si perde il pensiero quando guardo il cielo ed ecco...ecco... ritorna il ricordo dolce che ho di te.
Purtoppo, il dolore che sentiamo è profondo, come lo era il tuo mare, e ci interroghiamo, non possiamo farne a meno, su com’è che è così strano il mondo e come era strano esserci, confonderci e perderci sotto quel cielo e a tutte le stelle, perderci, riperderci lontano da ogni cosa, su una stella luminosa non esserci, non essere, non esser mai nemmeno nato, un punto solo, il più piccolo che c’è.
Ma ti promettiamo che staremo attenti al lupo, e avremo cura della tua Nanì, a cui faremo capire che non esistono due occhi come i suoi, e che saresti morto, per una bocca rossa come la sua.
Ti prometto Lucio, che parleremo di dove andrà a dormire la Luna quando esce il Sole e chissà com'era la terra prima che ci fosse l'amore, sotto quale stella tra 1000 anni, se ci sarà una stella, ci si potrà abbracciare, lì dove il mare luccica e tira forte il vento.
Ma, mettiamo che ti dovessi ancora parlare, cosa debbo fare scriverti?
Se non ti so dimenticare, uccidermi?
Ma Dio ti ha detto, da vero egoista, "Chudi gli occhi" e tu, hai chiuso per sempre, i tuoi occhi di luna.
Senza rendersi conto che tu non ci basti mai, tanto che vorremmo essere la tomba quando morirai e dove abiterai e il cielo sotto il quale dormirai
così non ci lasceremo mai neanche se muoriamo  e lo sai. Perché tu, tu non ci basti ma, davvero non ci basti mai,  io, io, io ci provo sai, ma non ti dimentichermo mai.
Federica Ferretti

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domenica 22 febbraio 2015

Interviste eccellenti: Walter Nanni



L'Africa di Walter, una coltellata nello stomaco


Venerdì 04 Luglio - 16:31 Federica Ferretti



Visualizzazione di walter africa - foto di A. Gatopoulos.jpgWalter Nanni, e la sua storia di abruzzese che ce l’ha fatta. A scrivere, e poi, a dare forma a quello stesso mondo che aveva fino a poc’anzi raccontato. Ce lo rivela in un’intervista Eccellente, compendio di quelle inchieste che avete così tanto amato: nella figura di Nanni, non solo il giornalista, ma anche la cultura di un popolo. Forte e gentile.
Che ritrovate dentro ad un film in prossima uscita, Terangadei cui sviluppi potrete essere aggiornati sulla pagina  FB appena linkata.
E per cui è impegnato un altro abruzzese, il compositore Enrico Melozzi.
Ma, nel frattempo, ci concede pure un'anteprima  eccezionale, un filmato che va oltre "il mio film in costruzione. E' un regalo che ho voluto fare ai membri dell'associazione che costruisce scuole in Senegal: tanti di loro sono abruzzesi, a cominciare dalla straordinaria preside del liceo Algeri Marino di Casoli (Ch), Costanza Cavaliere. Il primo viaggio in Senegal l'ho fatto con loro e questo video testimonia il lavoro fatto lì da tanti miei corregionali"
A questo link, potrete assaporalro fino all'ultima struggente immagine...
http://www.youtube.com/watch?v=iufusFMhafU&;feature=youtu.be
Visualizzazione di Walter Nanni a Dakar pp.png 
F.F. Esordi… Walter Nanni: 1992… Ho iniziato a 19 anni, in una televisione privata di Teramo (dove frequentavo l’Università):
si chiamava “Verde Tv”. Feci un provino con il direttore, Elso Serpentini, e qualche giorno dopo mi
ritrovai a leggere il Telegiornale in diretta. Un’esperienza magnifica, durata quattro anni, dove ho
imparato tantissimo e dove ho trovato energie, motivazioni e strumenti culturali per iniziare il mio
percorso nel mondo della comunicazione e dell’arte. Trovare dei buoni maestri quando si è ragazzi
è come vincere al superenalotto. Quell’esperienza, cercata e fortemente voluta, è stato il mio
biglietto vincente nella lotteria della vita. Dopo più di vent’anni sono ancora qui.
 
F.F. Cos’ è per te la scrittura?
Walter Nanni:  Un atto d’amore nei confronti di chi leggerà: scrivere è cercare di trovare le parole giuste per
comunicare con gli altri, cercando di andare in profondità. Tecnica e cuore. Non sempre viene
bene, proprio come l’amore… ma una parola “scritta” può davvero cambiare il mondo.
F.F. Volevi fare il giornalista…e poi?  
Walter Nanni: …e poi ho capito che fare solo il giornalista sarebbe stato, almeno per me, un po’ limitante. La
curiosità e l’istinto mi hanno portato su altre strade. Certo, è stato “il primo amore” e nei miei lavori
c’è sempre una matrice giornalistica.

F.F. Quando e come Walter diventa regista?
Walter Nanni:  E’ stata la naturale conseguenza delle tante esperienze fatte. Un punto d’arrivo e non di partenza.  
F.F. Il teatro: all’inizio o alla fine del tuo percorso?  
Walter Nanni: Nel 2000 lasciai il giornalismo per il teatro. I tanti spettacoli, i monologhi a teatro e il pubblico mi hanno fatto diventare un uomo libero. Dieci anni in cartellone al teatro dei Satiri di Roma mi hanno
fatto crescere tanto. E’ stato anche uno dei periodi più divertenti della mia vita. Ogni tanto torno a
fare qualcosa ma il mio presente e il mio futuro sono dietro la telecamera.
 
F.F. I tuoi documentari vincono dei premi ambiti…
Walter Nanni:I premi rappresentano soprattutto uno straordinario mezzo per promuovere un’opera e arrivare al
maggior numero di persone possibile. I festival sono anche un bellissimo momento d’incontro con il
pubblico e con la critica. I premi appagano anche qualche inevitabile bisogno narcisistico ma sono
molto felice, oggi, di scoprire che questo aspetto è sempre meno importante per me.
Immagine in linea 3 
F.F. Raccontaci la terra d’Africa.  
Walter Nanni: Come tornare alla fonte, all’essenza. Una terra piena di odori, amarezze, ingiustizie pazzesche,
felicità altissime, parole diverse, umanità. L’Africa è una coltellata nello stomaco: dalla ferita che
lascia, però, non esce sangue ma emozioni e qualche verità in più.
F.F. Come si inserisce quest’esperienza nel tuo vissuto?  
Walter Nanni: Un’esperienza che è arrivata nel momento giusto per me e che ho potuto affrontare con felicità e curiosità. Studio i fenomeni migratori da tempo, sono arrivato ad affrontare quest’avventura perché preparato sia da un punto di vista tecnico che umano. Girare e raccontare l’Africa, poi, è sempre stato un mio desiderio, un sogno che volevo realizzare sin da ragazzo. Quando ero adolescente avevamo un amico di famiglia originario del Senegal, Babacar: i suoi racconti mi incuriosivano e mi affascinavano sempre. 
Quest’anno, grazie anche all’Associazione “Una scuola di arcobaleni”, si sono create le condizioni giuste per poter affrontare questo viaggio e mi sono buttato a capofitto in questa avventura umana e artistica. Credo sia necessario raccontare le emigrazioni dall’Africa
verso l’Europa. La conoscenza, solo la conoscenza, può aiutarci a capire fenomeni così grandi
come i flussi migratori e a trovare gli strumenti giusti per affrontare il problema. Ogni giorno
arrivano notizie di africani morti in mare, nel Mediterraneo come nell’Oceano Atlatico: una cosa
inaccettabile, inaccettabile.
 
F.F. Quanto Abruzzo ti sei portato dietro, in quel viaggio?
Walter Nanni: Tante persone con cui ho affrontato questi viaggi sono abruzzesi, a cominciare da Costanza
Cavaliere, la preside del liceo di Casoli, e da i membri della mia troupe. La verità però è un’altra:
l’Abruzzo non me lo sono dovuto portare dietro, l’ho ritrovato in Africa, nei gesti delle donne e nella
vita quotidiana delle persone. Ho ritrovato i racconti di mia nonna quando, da ragazzo, mi parlava dell’Abruzzo del dopoguerra e le difficoltà di quel tempo.
 
F.F. C’è un argomento di cui vorresti ancora trattare, ma che non ce l’hai ancora fatta?  
Walter Nanni: Tutto. Tranne il bombing jumping. Entro il 2016 spero di riuscire a realizzare un altro sogno: la
traversata in barca a vela dal Portogallo alle Galapagos.

Federica Ferretti



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