domenica 27 maggio 2012

Ti scrivo.

Ti scrivo.
Forse non dovrei. Non più almeno, dopo anni passati a cercarti, inutilmente, e a rifiutare ciò che non mi bastava ancora.
Io sono ora quanto di più lontano può appartenerti nelle tue lunghe notti estive.
Tra la calura della pelle ed il freddo dentro.
Di un'incertezza, inconsapevolezza, diciò che per me tu sei davvero.
Io ti vedo, lì, buttato a pensarmi, come io ti penso, ma senza saperlo.
I tuoi occhi sono tristi. Sono vuoti. Sono miei.
Ed io li amo.
Annego nelle striature di terra, la nostra, della tua iride che mi riveste a festa e mi agghinda di fiori e foglie.
Io sono una fata, e poi demoniaca ancella del tuo bosco ormai incolto.
Io sono la loro padrona e la loro serva perchè tu non mi salvi dal loro dolore.
Eppure ti amo.
In silenzio ti adoro.
Adoro ancor più il ricordo di te nel tuo vestito nero lucido, il tuo portamento regale, le spalle forti di uomo che divide com me le mie radici d'amore.
E prego per la tua redenzione.
Io prego che tu mi possa vedere.
Perchè io sono al tuo fianco, mentre avanzi nel tuo portamento regale, vetito di un abbaglante colore che lucida i miei occhi.
Sono al tuo fianco anche ora.
Mentre ti alzi seminudo e ti avvicini alla finestra.
Guardi troppo lontano. Piuttosto che rispecchiarti nei tuoi occhi.
Mi vedresti mentre li amo.
Ed annego nel muschiato dell'iride che mi riveste a festa, sempre inconsapevole.
Io ti guardo e ti prego di specchiarti.
Io sono nei tuoi occhi.
Vi dimoro come ancella di un bosco che ha smesso di essere incolto.
Io lo abito e lo coltivo.
Tenero uomo di disperata fattura, svegliati.
Risvegliati alla bellezza del nostro mondo.
Inchinati alla bellezza del nostro amore.
E servimi.
Io ti sto già servendo.
Sono schiava del tuo dolore che è sacro alla bocca degli dei.
F.F, colei che ti ama.

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